domenica 24 agosto 2008

S&tC 3x06

Saluti a cinque cerchi cari lettori,


Si spegne il braciere olimpico e qui siamo ancora con la lingua felpata, e per chi non avesse colto, mi riferisco al martellare dalla mattina alla sera con gli ori vinti da Phelps a Pechino, che sinceramente no se ghe ne pol piu’... C’e’ da dire che non ho registrato molta euforia in generale a parte qualche incremento nei grugniti e broncospasmi che utilizzano per comunicare i cinesi al campus, probabilmente orgoglio nazionalista? Sul fronte casalingo poco da segnalare, finalmente dopo mesi il buco sul soffitto e’ stato riparato e come avevamo predetto, il tutto era legato all’attesa della manodopera a prezzo di saldo (leggasi in nero n.d.r): tradotto il genero della signora ed il fratello di lui i se ga presenta’ un mercore de sera ae dieze e quaranta par far el lavoro... E via a smissiar malta, sbati, scrosta, martea, trapana, calcinacci che pioveva, a gata insemenia ecc. Aea fine i ga finio el lavoro all’ 1.00am me imagino per la felicita’ dei vicini che comunque hanno dimostrato un’alta soglia di sopportazione, considerando che nei condomini italici se gnente gnente te casca na presina a coppia de veci del piano sotto te bate coa scoa...
E la riparazione e’ arrivata giusto in tempo per la visita ufficiale tra capi di stato quando la mia famiglia e’ venuta a casa a trovare la signora... Scene di ordinaria follia, coe tipiche giosse di imbarazzo da manga giapponese, dove nessuno sapeva cosa e in che lingua dire -drammatizzazione di scena tipo:” chiedigli se vogliono qualcosa da bere, volete?, nooo non serve, dicono di no, ma neanche un po’ chiedigli, neanche un po’? vabbe’ dai dille grazie, ok grazie, prego, prego, prego”- e cussi’ via, se non altro ho visto aprirsi un’altra realistica possibilita’ di lavoro come traduttore simultaneo... Comunque dopo il consueto scambio di gagliardetti e strette di mano ghe ne semo vegnui fora e sbrigata la burocrazia e’ tempo di vacanze!!

Hotel California

Volo tranquillo di circa 5 ore con saltuari tremolii che facevano male piu’ al mio braccio sinistro lasciato in carne viva dalle unghie della mamma in panico pre-schianto che allo stomaco, peraltro vuoto visto il poverissimo servizio nei voli interni. Dopo aver ritirato l’auto all’aeroporto eccoci sfrecciare per le strade di San Francisco, in realta’ piu’ che sfrecciare il nostro e’ un andamento sinusoidale, su e giu’ per “collinette” che farebbero impallidire molti dei nostrani sentieri alpestri... il tutto condito dal famoso tram chiamato desiderio (vista la coda di turistume in attesa del giretto panoramico) che si inerpica con la gente attaccata fuori (preso due volte, igrumai come sardee). Fa un freddo becco a cui non si era preparati arrivando da NY seguendo il mantra baywatch “California = sole = spiaggion” percui urgono felpe e ripari. Arriviamo all’albergo vicino a Union Square, un classico caso di molto fumo e poco arrosto, con posteggiatore che ti prende le chiavi e sparisse co l’auto, facchini che ti strappano a forza di mano le valigie promettendoti di portartele in camera e ti intanto ti speri che no i se e gratta e hall faraonica, po ti rivi in camera e... tanto rumore per nulla, che par ver do sugamani in piu’ a momenti ne tocava rubarghei dal caro dea salvadoreña che fazeva e camere... La citta’ e’ piccolina ma simpatica, non da viverci, magari per le vacanze, bella la zona del porto dove tra l’altro ci siamo avventurati in un ristorante, “The stinking Rose” (o “la rosa fetente”) che cucina tutto con l’aglio dalla pasta, alla carne, al pesce fino ad uno rivoltante gelato all’aglio che ci ha tenuto sulla soglia dello sbocco per interminabili secondi. Nei successivi 2 giorni visite intensive a parchi e coste del circondario tra i quali segnalo il Muir Woods national monuments, un bosco di sequoie, il posto piu’ bello visitato nella vacanza e il Golden Gate national recreation area (imponente il ponte anche se ahime’ mezzo nascosto dalle nubi).

The ultimate Christmas tree

Next stop Yosemite Park. Addentrandoci nella California continentale inizia la tristezza: deserto e poco piu’ con qualche oasi di verde come e’ appunto lo Yosemite Park. Qui a Mariposa Groove c’e un altro sequoieto, meno bello del Muir Woods ma con una bestia grande come un palazzone per altezza (63.7 metri, giusto per comparazione la torre di Pisa è alta circa 59 metri…) e diametro (7.8 metri): si tratta del Grizzly Giant la 25ma sequoia più grande del mondo, per il resto il paesaggio e’ molto dolomitico. Uscendo dal parco ci fermiamo a Lee Vining sulle rive del Mono lake, un lago salato con delle specie di stalagmiti che vien su dal fondo, qui facciamo anche la prima e unica visita a una delle migliaia di citta’ fantasma che sono disseminate in sta zona: praticamente sono citta’, paroea grossa, diciamo borghi (spesso minerari) abbandonati a fine 800 su cui ora i piccoli contadi marciano per attirare i turisti, la filosofia che consigliamo e’: vista una viste tutte...

Cristo non si è fermato a Panamint Spring, ga tirà drito…

Tempo di ripartire alla volta della Death Valley. Per evitare di passarci col sol in candea e sciogliere gli pneumatici, ci fermiamo una notte all’imbocco della valle, nella Eboli californiana che e’ Panamint Springs (popolazione 5: a coppia de veci che gestisce il motel, il figlio alla pompa di benzina, la figlia al general store e un cuoco a cottimo) veramente un luogo dimenticato da Dio nel deserto dove ovviamente non potevano mancare altri italiani... quest’anno un flagello di europei per tutti i gusti, sara’ anca l’euro forte ma... Comunque ae 8.30 de sera xe’ buio pesto, in camera gnanca na strassa de tv, fora piu’ che cactus e 40 gradi no ghe xe’ percui andiamo a letto per partire presto il giorno dopo.
E fu sera e fu mattina. Settimo giorno: la Death Valley tiene fede al suo nome, e’ morta. Km e km di steppa con un unico punto sabbioso a dune e un paio di zone panoramiche come la Dante’s view e lo Zabriskie Point. Sono le 13 e il sole non mostra segni di pieta’ percui ci dirigiamo verso l’ultima tappa del nostro viaggio, la citta’ che sfida il deserto ed il buon costume, Las Vegas.

Rien va plus, le jeux sont faits

Come i lettori di vecchia data ricorderanno non e’ la mia prima visita a sin city e c’e’ da dire che poco e’ cambiato, se si esclude un mega-mostro di 5 palazzoni che sta sorgendo sulla via principale. Questa volta non e’ Aprile e se sente, i seppur brevi raccordi tra un casino’ e l’altro che costringono ad uscire e lasciare lo scudo di aria condizionata degli edifici sono devastanti. L’albergo di questa volta e’ il Luxor, il piramidone di plastica egizia, credevo meglio. Di buono c’e’ la mostra che e’ allestita al primo piano che dopo due anni di attesa finalemente io e Giacomo decidiamo di visitare: si tratta di BODIES una esposizione di “pezzi” di uomini (meglio di cinesi) che hanno donato i corpi a fini educativi e che dopo innovativi trattamenti sono esposti tagliati, spelati, sezionati, colorati e permettono di vedere come siamo fatti dentro, ma davvero!!!
Nei successivi due giorni abbiamo seguito la formula canyon di giorno, citta’ di notte visitando un paio di altre riserve nell’hinterland e aspettando che il sole calasse per vedere un po’ di luci e peccatori. Circa 10$ la somma persa questa volta alle malefiche e droganti slot-machines dove ancora una volta devo riportare una cospiqua e inquietante presenza de girei, carrossee, bomboe de ossigeno, tripodi, amplifon ecc. Il tutto simboleggiato da una vecia incastrada co a carrossea tra do careghette di due videopoker fortunatamente con la possibilita’ di muovere autonomamente almeno una mano, non per premere il salvavita beghelli (se, figurite, queo se o gaveva za’ magna’ aea roulette) ma il tasto “rilancia”...


M

Nessun commento: